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‘Perché non state a casa?’ Ecco perché questa domanda non funziona.

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Perché alcune persone non vogliono osservare la quarantena, e soprattutto, perché non ascoltano i numerosi appelli? Come sappiamo, i meccanismi comunicativi possono essere molto diversi da quelli che noi supponiamo a partire dal semplice contenuto verbale. Vediamo cosa succede.

‘Che cos’è che non è chiaro? Perché non capite che bisogna stare a casa? Siete forse scemi?’

Sentiamo ripetere da tutte le parti che bisogna stare a casa, eppure molte persone continuano ad uscire; il risultato è grande rabbia e insoddisfazione da parte di chi rispetta la quarantena, o ancor peggio deve lavorare in ospedale e guarda le persone soffrire e morire.

Abbiamo quelli che rispettano le regole, e quelli che cercano qualunque scappatoia o le infrangono deliberatamente. E’ la più classica delle ripartizioni tra chi si adatta e chi si ribella. Certo, nel mezzo vi è anche chi ragiona sui provvedimenti, integrandoli con il proprio vissuto emotivo ed agendo in modo congruo ed adeguato – ma mi chiedo quale sia la proporzione di persone che rientrano in questa categoria, e tanto per essere chiara, non a fine critico, ovvero non per giudicare, visto che io stessa sento la difficoltà a monitorare e controllare stati emotivi a volte debordanti. Di conseguenza, l’ultimo dei miei intenti è puntare il dito; ed è proprio a questo che voglio arrivare alla fine dell’articolo: quanto è utile puntare il dito? Ragioniamoci sopra.

Tipicamente, ad una richiesta ‘genitoriale’, come può essere quella di restare a casa, possiamo attribuire due diverse sfumature. Una affettiva: state a casa perché questo è il modo migliore, se non l’unico, per tutelare voi stessi e gli altri. Una normativa: state a casa perché questa è la regola che impongo per tutelarvi. Punto. Dunque il nostro Stato, che ha funzione di tutela e contenimento, ci dice che dobbiamo stare a casa, e lo fa con un decreto. Questa richiesta viene in realtà ripetuta da medici e ministri, entrambi si esprimono con la voce del ‘bene comune’, ed ora con intento protettivo, ora con intento contenitivo, pongono la richiesta in oggetto.

Alcuni si adattano in risposta, cioè aderiscono alla richiesta, seppur più o meno contenti, più o meno spaventati o arrabbiati, e più o meno convinti. Altri si ribellano, anche qui in vario modo, ed ovviamente non sono solo i ragazzi, ma anche gli adulti che messi di fronte ad un limite tendono a ribellarsi (non ci sono autovelox, in autostrada almeno a 170, tanto non mi beccano, tanto per fare un esempio). Attenzione, non sto parlando di criminali o persone crudeli o menefreghiste, ma semplicemente ribelli, con una modalità di pensiero che tendenzialmente critica la norma ed individua buone ragioni per infrangerla. Facile individuare persone che funzionano in questo modo.

La quarantena è difficile e stressante, così com’è difficile rispettare ritmi di lavoro massacranti per chi invece al lavoro ci deve andare, per curare le persone ammalate. Vedere chi infrange le regole, genera rabbia in chi le rispetta, comprensibilmente.

Vedere, sentire la rabbia di chi rispetta le regole, che reazione genera in chi non lo fa? Presumibilmente, la reazione più probabile è quella di confermare in chi infrange la scelta di continuare a farlo. La reprimenda dei vicini/parenti/concittadini viene vissuta come un ulteriore tentativo di stringere la sorveglianza e riportare chi infrange alla regola, a cui segue con grande probabilità una ribellione ancora maggiore, e pure rabbia per la sensazione che non solo lo stato e gli organi competenti, ma anche altri cittadini, vogliano limitare la propria libertà.

Ed è così che torniamo al punto di partenza: a cosa serve puntare il dito? E’ utile arrabbiarsi e dare degli stupidi a chi non segue le regole?

No, non serve a nulla. Gli unici che ascolteranno, saranno quelli che già stanno a casa, ed il risultato collaterale, apparentemente positivo, sarà di trovare altre voci che si uniscono alla propria, magari facendoci avvertire una certa solidarietà, e di non essere soli ad essere arrabbiati, delusi o esasperati; tuttavia, su chi a casa non ci sta, non avremo alcun effetto, anzi, semmai sortiremo l’effetto contrario.

Per quanto riguarda chi non ha paura e vive con il motto che ‘di qualcosa morirò comunque’, l’enumerare i morti e ricoverati sotto ai 40 anni, ancora una volta, confermerà la sua decisione ed il suo intento di non rinchiudersi.

E dunque, cosa dobbiamo fare? Non c’è speranza di convincere le persone a stare a casa?

Se parliamo di convincere tutti, no, non c’è speranza.

Se invece ci chiediamo se vi siano altri mezzi per aumentare l’aderenza alle prescrizioni (perché di questo si tratta, dell’aderire ad una prescrizine di carattere preventivo inerente alla salute immediata nostra e della nostra comunità), allora possiamo prendere in considerazione altri atteggiamenti ed altri tipi di comunicazione.

A seguire nel prossimo articolo (chiedo perdono, ma sono in quarantena con due bambine ed un cane convalescente)!

Dott.ssa Valentina Cozzutto
Psicologa Psicoterapeuta a Monza e Brianza


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