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Chi non capisce cosa?

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Chi non capisce cosa?

Nel mio ultimo articolo ho parlato del senso di frustrazione che molti hanno, vedendo che alcune persone non osservano le limitazioni che siamo tenuti a rispettare a causa dell’epidemia di covid-19, e viceversa: il fastidio che altri avvertono nel sentirsi giudicati quando escono di casa.

Come si fa ad avvicinarsi l’un l’altro in un momento così difficile? Ho scelto di affrontare l’argomento con questa domanda, perché non possiamo dimenticare che entrare in conflitto è l’ultimo modo utile per trovare una comunione d’intenti. Nel mio articolo precedente, ho scritto che non potremo mai essere tutti convinti sullo stesso punto: è impossibile, per diversi motivi, tanti quali sono le diversità soggettive. Quello che è certo è che l’attacco non sortisce alcun altro effetto che quello di inasprire la diversità di opinione. Quale altro atteggiamento potremmo adottare allora?

  1. La comprensione. Significa che dobbiamo giustificare quelli che organizzano la partita di pallavolo? No. Significa che se vedo una persona che corre, prima di giudicare posso farmi qualche domanda, e prendere in esame qualche ipotesi differente dall’egoista menefreghista’. Ad esempio, posso chiedermi se non sia qualcuno che sta vivendo una situazione di coppia altamente conflittuale con scoppi di violenza verbale, per cui uno sfogo quotidiano può segnare la differenza. Sono molte le ipotesi che possiamo considerare. Quella mamma a passeggio col passeggino, forse ha un bimbo che ha pianto per ore di fila, e si calma solo uscendo in passeggino. Difficilmente quella mamma contagerà qualcuno facendo su e giù sul marciapiedi, ma forse si proteggerà da un senso di disperazione ed impotenza. Quel papà col bambino in monopattino forse vive in 50 metri quadri ed il bimbo è iperattivo, sveglio dalle 6 alle 23 a saltare sul divano, mentre i genitori cercano di lavorare da casa. Quella persona che esce a comprare una pagnotta, forse ha in casa un partner violento. E così via.
  2. Cambiamo modalità comunicativa. La reprimenda da Genitore (mi riferisco ad una lettura funzionale con gli Stati dell’Io), evidentemente, non funziona. Se dall’altra parte ho qualcuno che risponde con una modalità da Bambino ribelle, molto semplicemente con il nostro biasimo ci andrà a nozze. E dunque che fare? Cambiamo il modo di comunicare, ossia usiamo un altro Stato dell’Io. Nella fattispecie posso:
    - Partire dall’Adulto ed adottare una modalità concreta, seppur rispettosa, basata su dati di fatto. Attenzione però: questo non significa snocciolare le mie certezze con l’assunto che le opinioni dell’altro sono sbagliate; in tal caso, sarò ancora pienamente nel Genitore (io ho ragione e tu hai torto), ovvero non mi sarò mosso di un passo. Se voglio relazionarmi dall’Adulto, allora devo essere in grado di ascoltare e rispondere rispettosamente, dando credito a quanto ascolto. Posso usare informazioni ministeriali ed indicazioni relative, ma non come fossero una clava per ‘bastonare’ le opinioni dell’altro.
    - Oppure posso ‘giocare’ ed interfacciarmi anch’io a partire dal Bambino. Attenzione, perché questo riesca dobbiamo essere molto bravi. Il presupposto è che se tu sei ‘irragionevole’, io lo sarò più di te e di lascerò senza il tuo interlocutore preferito, ‘tagliandoti’ le gambe. Una strategia che personalmente non consiglio. Non solo perché, come dicevo prima, bisogna essere molto bravi in questo gioco, altrimenti finite nel vostro stesso sacco, ma anche perché è appunto una comunicazione basata sul gioco, e non su ascolto e rispetto reciproco. E’ una buona modalità laddove incappo in qualcuno che a darmi ascolto non ci pensa nemmeno, una sorta di difesa in extremis; la spiegazione di cosa sia un gioco però richiederebbe un libro a parte (perciò se siete curiosi, leggete Magrograssi, ‘I giochi che giochiamo’).
  3. Il controllo è l’ultima risposta, ma non spetta a noi cittadini. Spetta alle forze dell’ordine, che mi auguro abbiano a loro volta la capacità di fare domande, ascoltare, e discriminare.

Se vogliamo attraversare questa crisi, che sta segnando profondamente tutti noi in un modo che ci sarà chiaro solo tra alcuni mesi, in un modo che ci porti ad apprendere qualcosa, dobbiamo restare umani, e sollevarci dalla tendenza ad agire le emozioni; in questo caso, agire la rabbia sfogandola sugli altri. Qualcuno la meriterà anche, la nostra rabbia, ma il punto non è questo.

Possiamo pensare che chi esce a fare un giro per negozi senza preoccuparsi delle superfici con cui viene a contatto, e toccando allegramente maniglie e banconi, senza preoccuparsi di essere possibile vettore di contagio; o chi organizza allegre partite di pallavolo o calcetto, agisca un suo bisogno senza curarsi delle conseguenze; dobbiamo allora anche renderci conto che, se ci mettiamo a puntare il dito, agiamo a nostra volta il bisogno di sfogare rabbia e frustrazione, ma otteniamo poco altro.

Le emozioni vanno accolte ed incanalate in modo utile; al contempo dobbiamo e possiamo pensare in modo costruttivo e realistico. Se useremo la nostra emotività per combattere battaglie da buoni contro cattivi, non faremo né l’uno né l’altro, e ci allontaneremo da ciò di cui realmente abbiamo bisogno per superare questo periodo: coltivare un senso di connessione reciproca, di appartenenza alla comunità, e alla base di questo tipo di atteggiamento c’è rispetto reciproco ed altruismo. Cose che difficilmente riusciremo a trasmettere puntando il dito ed urlando. Piuttosto, possiamo chiederci per prima cosa quale sia il motivo di determinati comportamenti, e quale il modo migliore per relazionarci al riguardo. Tenendo anche a mente che, per quanto sia frustrante, vi sono persone che non ascolteranno, e vanno in qualche modo riportate a ragione con altri mezzi – compito che non spetta noi.

Restiamo umani, restiamo uniti.

Dott.ssa Valentina Cozzutto
Psicologa Psicoterapeuta a Monza e Brianza


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