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Sperare senza negare il dolore

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Sperare senza negare il dolore

Mi rendo conto che può sembrare una posizione antipatica, ma non me la sono mai sentita di far mio l’”andrà tutto bene”. Perché non l’ho mai pensato.

Non perché io creda ci sia la necessità di essere più pessimisti/spaventati/attenti o altro, anzi, penso che abbiamo molto bisogno di credere in quello che facciamo, coltivare la speranza; soprattutto però, quello che a mio parere può aiutarci, è quella caratteristica così speciale e così caratterizzante che è l’altruismo. Il senso di protezione reciproca che fa sì che ce ne stiamo rinchiusi in casa, che accettiamo di non salutare i nostri cari che ci lasciano in un letto d’ospedale. Molti di noi stanno a casa perché hanno paura, ma molti lo fanno per proteggere chi amano, ed in generale il resto della comunità. Entrambe sono motivazioni legittime e comprensibili, entrambe sono necessarie.

Tutto questo finirà, e certamente non saremo più gli stessi. Innanzitutto, perché tante persone ci hanno lasciato, altre hanno sofferto e avuto paura di morire, tantissime stanno piangendo qualcuno che non hanno nemmeno potuto salutare all’ospedale. Non posso dire che andrà tutto bene, quando ci sono persone che sono morte ed altre moriranno, come per fortuna, tante altre guariranno e torneranno a casa.

Non per tutti andrà tutto bene.

Tra questi, quei bambini rinchiusi in case custodite da genitori abusanti. Le persone che vivono situazioni di violenza domestica. Quelle che improvvisamente hanno perso la loro unica entrata economica e non sono nemmeno sicure che avranno un lavoro alla fine della quarantena.

Ma ci sono tante realtà da tenere in considerazione. Bambini improvvisamente chiusi in casa, e peggio di tutto, senza una ‘scadenza’; genitori estenuati da un carico eccessivo di lavoro a casa, la didattica di uno o più figli da seguire, con la preoccupazione di genitori anziani che non possono aiutare.

Persone che già prima soffrivano di disturbi che peggioreranno precipitosamente, gettandoli in stati di sofferenza difficile da comprendere, finché non l’hai provata.

Il grande problema dell’”andrà tutto bene”, ed il motivo per cui ne leggiamo sempre di meno, è che è sempre stato irrealistico.
Ora che tante persone muoiono e tante altre patiscono fortemente per lutto, paura, quarantena in condizioni tutt’altro che accoglienti, o anche solo per stress da accudimento famigliare ininterrotto o solitudine completa, l’”andrà tutto bene” si svela per il desiderio impossibile che è. Per usare un concetto abbastanza noto, potremmo dire che è una negazione; la malattia ci porta alla morte, e la morte ci spaventa. Se da un lato spaventa l’individuo, ed è normale sia così, dall’altro è un concetto da cui la società occidentale si tiene più lontana possibile. In particolare, ci spaventa una morte per malattia, che mette alla prova la nostra convinzione di aver ‘guadagnato terreno’ rispetto alla malattia e la morte con la scienza medica, con la modernità, con il benessere.

Allora, ci disperiamo? No. O meglio, qualche momento di disperazione ce l’avremo. Possiamo però ripetere a noi stessi ed a chi ci sta vicino, tutti i giorni, che tutto questo finirà; e che forse abbiamo, anche nel dolore e nella fatica, soprattutto nel dolore e nella fatica, qualcosa da imparare e da ‘portare a casa’, come uso dire a fine seduta.

E possiamo anche riconoscerci che, pur essendo vero che siamo fortunati a non essere ammalati o ad essere guariti, è normale ed umano che facciamo fatica o andiamo in sofferenza.

Non restiamo soli in questa sofferenza. Non vergognamocene perché c’è chi sta peggio. Meglio condividere, trovare ascolto. Lasciar scorrere il dolore.

Anche questo finirà!

Dott.ssa Valentina Cozzutto
Psicologa Psicoterapeuta a Monza e Brianza


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