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Amare un narcisista: riflessioni sulla solitudine

…but though you’re still with me I’ve been alone all along’.
Evanescence, My Immortal

Mi ha sempre colpito l’intensità della disperazione in questa struggente canzone.

Oggi si parla molto di narcisist*, e di vittime dei narcisist*. Ci sono tantissimi articoli e forum o gruppi sui social che raccolgono le testimonianze di chi ha avuto una relazione con un* narcisista o che danno consigli su come uscirne.

Riguardo al definirsi vittima, ricordo quanto mi disse una donna molto intelligente ed intuitiva, mentre lottava per uscire da una relazione con un uomo manipolativo. Mi disse che a lei non piaceva considerarsi una vittima, perché sembrava l’altro fosse una persona malvagia, ma così non era: l’altro faceva l’unica cosa che sapeva fare, che lui scambiava per amore. Sappiamo che in fondo alle modalità relazionali svalutanti e/o distruttive c’è una profonda fragilità. Questa donna l’aveva intuito, con grande umanità.

Al contempo, questa persona ha scelto di non definirsi vittima (pur essendo stata in effetti abusata emotivamente e fisicamente); mi disse ‘Io non mi sento una vittima’. In effetti, togliersi l’etichetta di vittima aiuta a riappropriarsi della capacità di scegliere in quale tipo di relazione vogliamo stare. Non siamo costrett* in una relazione, per quanto difficile e dolorosa possa essere uscirne, e se da un lato possiamo essere vittime, all’interno di questa relazione, di abusi psicologici o fisici, dall’altro considerarci in qualche modo agenti ci consente di adottare un nuovo modo di guardare a ciò che ci è successo, ovvero ‘Come posso evitare di ritrovarmi di nuovo in una relazione del genere?’. Non nasciamo masochisti, perciò se ci infiliamo in una relazione così malata, è evidentemente perché ci appare come una relazione di amore profondo. E’ importante chiederci cosa abbiamo confuso per amore, e che cosa andare a cercare in una relazione profonda, intima, nutriente per tutti i partner.

Se vogliamo immergerci per qualche secondo nel dolore che si prova ad amare una persona così devastantemente fragile, trovo che la canzone citata renda più di qualunque accurata descrizione psicologica. ‘Nonostante tu sia qui con me, sono stata sola tutto il tempo’.

Se ad ogni modo vogliamo parlare della vittima perfetta di una persona narcisista, ecco che possiamo trovarla davvero. Un figlio.
Un adulto ha sempre la possibilità di lottare ed uscirne, per quanto doloroso sia; un figlio, no. Deve giocoforza accontentarsi dell’amore, o non amore, che arriva da quel genitore. Perché parlo di non amore? Perché chi soffre di una forma di disturbo narcisistico non riesce a vedere l’altro come distinto da sé, come essere umano con desideri, bisogni, sentimenti propri. Darà a questo figlio l’amore che ha bisogno di dare, nella migliore delle ipotesi. In sostanza, sarà incapace di sintonizzarsi sui bisogni del bambino; oppure, o anche, lo userà per soddisfare i propri bisogni, ma senza intenzionalità consapevole: ribadira’ e sosterrà strenuamente di aver soddisfatto i bisogni del bambino. Manca insomma di empatia.

Mi rendo conto che ci sono molte persone che hanno avuto figli all’interno di una relazione tanto tossica, e potrebbero leggere quest’affermazione come una sorta di condanna; non è così, tuttavia. Anche i bambini cresciuti in una coppia come questa avranno, al momento giusto, la possibilità di cercare una forma di amore sano; particolarmente importante sarà proprio l’esempio dato dal genitore più ‘integro’, più dotato di un senso di sé realistico, e capace di lottare per stare bene.

I bambini hanno grandi risorse, e questo significa che raccolgono qualunque seme trovino lungo la strada, anche uno piccino e mezzo calpestato, lo piantano e lo curano con amore, finché non mette radici. Fuor di metafora, i bambini raccolgono qualunque traccia di funzionamento sano e ne fanno tesoro.

Siete coinvolt* in una relazione con un* partner narcisista e vi chiedete cosa dovete fare? 

Prima di prendere una decisione, o prima di non prenderla (che è a suo modo un altro modo di decidere), fatevi delle domande, del tipo:

  • Come voglio passare il resto della mia vita con questa persona (è estremamente improbabile che cambi, se non per un trama importante – essere lasciato potrebbe dare una spintarella in tal senso);
  • Come voglio che crescano i miei figli, se ne abbiamo;
  • Cosa mi porto a casa dal farmi trattare in modo crudele e sadico (forse penso di non meritare nulla di più? Questo è un buon punto da cui partire, ad esempio, andando in terapia!)
  • Nel caso vi siano aggressioni fisiche, chiedetevi quanto volete rischiare lesioni serie, o di restarci proprio secch*, perché i/le partner violenti tendono a peggiorare nel tempo, a meno di scossoni rilevanti (vedi il punto 1);
  • Pensate di amare davvero questa persona, nonostante tutto? Allora siate i primi a mostrargli/le cosa significhi amore incondizionato, imparando ad amare abbastanza voi stessi da sottrarvi al suo trattamento. Potrebbe, con un po’ di fortuna, essere un punto su cui farlo/la riflettere (più facilmente, tuttavia, riversera’ su di voi ogni colpa per la rottura).

Qualunque ragione voi troviate, tenete bene a mente che potete in ogni momento scegliere di non sentirvi vittime; il che non significa, ovviamente, che non subirete o rischierete di subire violenze di diverso genere, ma che vi prendete il potere di agire per opporvi, e farete tutto ciò che è in vostro potere per proteggere voi stessi e le persone che amate.

Non c’è solitudine più atroce di quella che proviamo accanto a qualcuno che non ci vede, non ci ascolta, non è realmente interessat* ai nostri bisogni emotivi. 

Dott.ssa Valentina Cozzutto
Psicologa Psicoterapeuta a Monza e Brianza


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