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Ancora pandemia: quando il pericolo ricorre

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Ancora pandemia: quando il pericolo ricorre

Il problema che stiamo affrontando l’abbiamo già vissuto. Dicendo ‘Ho affrontato un evento’, siamo abituati a considerarlo risolto, o trascorso, qualcosa cui mettiamo la parola fine, o quantomeno cui associamo il pensiero ‘il peggio è andato’.

Purtroppo, stiamo ora facendo i conti con ‘il peggio che ritorna’, a livelli pandemici, e fuori dal nostro controllo. A peggiorare il modo in cui viviamo la situazione, vi sono le misure di contenimento, che hanno conseguenze più o meno gravi, da un punto di vista oggettivo, per alcune persone piuttosto che per altre (ristoratori e proprietari di attività commerciali corrono il rischio di un’altra grossa crisi a livello economico; i ragazzi delle scuole superiori sono privati di un aspetto importantissimo per loro, quella della relazione e del gruppo dei coetanei; solo per citare qualche esempio).

Credo che uno degli aspetti peggiori sia proprio la ricorrenza. Per quanto fosse abbastanza noto che sarebbe arrivata una seconda ondata di covid, probabilmente molte persone nutrivano la speranza che sarebbe stata meno  grave, meno impattante numericamente, con minor necessità di ricorrere a restrizioni, ecc.

Un evento traumatico (perché è traumatico, seppur non per tutti allo stesso modo, dipendentemente da molti fattori) che ritorna, assume un peso importante per la nostra gestione cognitiva ed emotiva, perché creiamo una sorta di attesa che l’evento si presenti ancora, e nel farvi fronte portiamo un peso, collegato alla stanchezza per la crisi precedente, al senso di scoramento che accompagna la consapevolezza che non è ancora finita, ed alla paura che non sarà finita nemmeno un domani, perché potrebbe esserci ancora un’altra ripetizione. L’evento attuale quindi non viene vissuto solo nell’oggi, ma anche nella sua dimensione passata e futura, si estende nel tempo senza che possiamo arginarlo ad un periodo delimitato. E’ un po’ come avere un’influenza, o una malattia cronica con ricadute ricorrenti. E’ come affrontare un’inondazione occasionale, o dovervi fare i conti stagionalmente tutti gli anni.

Per essere chiara, specifico che non è detto che questi meccanismi cognitivi ed emotivi siano collegati ai fatti e si modifichino in correlazione ad essi. Ad esempio, possiamo sapere che si sta lavorando ad una vaccino o ad una terapia, e che saranno pronti a breve, ma non è detto che questo annulli il ciclo di pensieri ed emozioni descritto sopra. Perché? Perché siamo predisposti a registrare una sequenza di eventi e prepararci ad una possibile ripetizione, quale meccanismo di sopravvivenza fuori dal controllo consapevole.

Questo è il motivo dello stress e del senso di stanchezza e scoramento che molte persone possono provare in questo momento. Le reazioni possono essere diverse. Alcuni si chiuderanno nella paura ed adotteranno comportamenti molto restrittivi, alle volte anche eccessivi, con il rischio di aumentare il senso di isolamento, pericolo, con conseguente ansia o depressione. Altri invece potrebbero essere scoraggiati ed adottare un atteggiamento improntato al ‘tanto non serve a nulla, meglio vivere normalmente e non pensarci’, finendo per non rispettare le regole effettivamente efficaci. Un altro rischio è quello di negare la situazione, in modo più o meno estremo, con comportamenti rischiosi per sé stessi e per gli altri.

La prima risposta che suggerisco è, ancora una volta, quella di restare umani e trattenersi dal facile compito di emettere giudizi (compito peraltro già affidato alle forze dell’ordine, dunque lasciamoli liberi di guadagnarsi il loro stipendio). Ogni persona, in questo momento, sta facendo i conti con preoccupazioni ed emozioni che noi non conosciamo, ma che hanno un peso. Partire da un giudizio è un ottimo modo per non riuscire a comunicare né a trovare un punto di incontro. Chiediamoci sempre cosa stia attraversando una persona che ha una posizione diversa dalla nostra.

Comprendere i bisogni delle persone dovrebbe essere la porta d’ingresso privilegiata per concordare una linea comportamentale condivisa, nei limiti del possibile. Questo ovviamente dovrebbe avvenire a livello sistemico, ma possiamo applicarlo anche nelle piccole interazioni quotidiane, va da sé , sempre proteggendo il nostro senso di sicurezza.

Se abbiamo tanta paura da sentirci costantemente in ansia, questo significa che le nostre risorse sono bloccate in processi cognitivi poco utili, svincolati dalla realtà e coartati da una preoccupazione sovradimensionata, ed è molto utile in questi casi attenersi alle informazioni minime necessarie (in altre parole, staccarsi dai notiziari!) e chiedere aiuto a qualcuno che possa ascoltarci, e se non fosse sufficiente ad un professionista.

Se ci sentiamo stanchi e ‘non abbiamo più voglia’ di attenerci a tante regole, allora è necessario attingere a fonti autorevoli per poter aggiustare la propria percezione di rischio. Non si vive di sola salute, ma senza salute si vive molto male o non si vive affatto. Per banale che sia, val la pena ricordarlo.

Alle persone che già soffrivano di qualche disturbo importante, consiglio vivamente di non interrompere percorsi di cura, o di richiederli, usando al bisogno la modalità online, che funziona, e comunque tenendo a mente che le cure restano disponibili anche in presenza per chi sta affrontando un disturbo importante.

Dott.ssa Valentina Cozzutto
Psicologa Psicoterapeuta a Monza e Brianza


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