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Impressioni su ”La pioggia prima che cada”Photo Credits: Pixabay, autore Phtorxp

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Impressioni su ”La pioggia prima che cada”

Ovvero, quanto il non essere amat* possa affliggere la propria vita privandola di forza ed energia.

Tre generazioni di donne, con qualcosa in comune: essere state clamorosamente ‘in-amate’ dalla loro madre. La storia, raccontata in prima persona da Rosamond, inizia con Ivy (sua zia) e Beatrix (sua cugina e coetanea); Beatrix non solo riceve costante disapprovazione da sua madre, ma un trattamento di indifferenza che fa sì che lei si ostini a fare di tutto per ottenere riconoscimento da Ivy. Invano: Ivy infatti le rivolge attenzioni solamente nel momento in cui è contrariata, dimostrandole disprezzo, e di amare molto più i suoi cani che la figlia.

Ho usato una parola inesistente: il verbo in-amate non esiste, mi è venuto in mente mentre scrivevo, nel tentativo di esprimere un’esperienza così devastante; mi è sembrato, insomma, che l’espressione non amare non rendesse l’intensità di quest’esperienza.

Ma cos’è che è stato devastato, precisamente? Vediamolo. Beatrix diventa una giovane donna e scappa dalla famiglia nell’unico modo possibile per una giovane ragazza a quei tempi, ottenendo una gravidanza indesiderata ed un matrimonio di scarsa prospettiva (di soddisfazione, ovviamente). Beatrix, tuttavia, partorisce una bambina, Thea, che dapprima porta in giro nelle sue avventure come un pacchetto, quindi ‘lascia a tempo indeterminato’ a sua cugina Rosamond ed alla sua compagna Rebecca, per poi ricomparire dopo un anno e mezzo, con un altro figlio, a reclamare la primogenita. Dunque, dopo un anno e mezzo di reale considerazione, accettazione, amore incondizionato ricevuti dalla zia ed anche da Rebecca, la piccola Thea viene portata via, dal giorno alla notte, in qualità di figlia maggiore, indesiderata, fastidiosa, etichettata come stupida dalla propria madre, più e più volte; Beatrix, insomma, riserva alla figlia un trattamento simile a quello che ha ricevuto dalla propria madre. La sua bambina diventa il ’sacco da box’ di una donna che non è realmente capace di amore per se stessa, e rovescia l’odio per la Bambina non amata che è stata, sulla sua bambina. La caratteristica di questa relazione non è la violenza fisica, seppur quella non manchi, ma il palese ed ostentato disprezzo, che ricalca il disprezzo che Beatrix ha per se stessa, regalo della sua in-amorevole madre.

Thea, che Beatrix aveva provveduto ad allontanare dalla zia Rosamond, viene ad un certo punto espulsa dalla famiglia. Seguendo le orme della madre, trova un uomo da adorare (e probabilmente idealizzare), con cui concepisce una bambina, anch’essa inattesa, indesiderata, trattata con sufficienza. Mi ha colpito molto un episodio raccontato da Rosamond, che va a trovare Thea e la sua neonata, Imogen, e si alza la notte a darle il latte e confortarla mentre la madre ed il padre dormono, chiusi in camera, dopo aver fatto l’amore. La bambina era stata appositamente portata in salotto e, sembra, dimenticata a piangere da sola. Verrà allontanata da Thea dopo un incidente che le cagiona la perdita della vista: Thea, rimasta da sola dopo esser stata abbandonata dal compagno, si spazientisce con la bimba e la scuote violentemente, causandole la cecità. La madre viene condannata e sconta una pena carceraria, mentre Imogen viene affidata ad una famiglia nella quale trova, finalmente, amore e cura. Un lieto fino, si potrebbe pensare, ma non è proprio così, per due motivi.

Il primo, è che Imogen muore a 17 anni, investita da un’automobile, mentre insegue imprudentemente il suo cagnolino che scappa (chi ha letto o leggerà il romanzo, troverà che quest’episodio ne richiamo uno cruciale nella vita di Beatrix, sua nonna). Questa notizia, nel romanzo, è straziante, perché viene data subito dopo che il lettore ha appreso che Imogen stava crescendo felice, soddisfatta di sé e della sua vita, nonostante la cecità, o per meglio dire assieme alla sua cecità – che è difficoltà di poco conto, sembra, rispetto al ben più grave handicap causato dalla mancanza di amore e riconoscimento.

Per comprendere il secondo motivo, servirà addentrarci in un altro vissuto, apparentemente più lieve, ma in realtà anch’esso piuttosto tragico, ovvero i complessi sentimenti di Rosamond, voce narrante, struggentemente affezionata a tutte e tre le donne di cui anima il suo racconto:  la cugina Beatrix, cui si è sentita vicina in un periodo estremamente difficile e doloroso, la separazione forzata dai suoi genitori e la convivenza con la fredda ed anaffettiva zia Ivy e la sua famiglia; a Thea, la bambina che ha cresciuto per un anno e mezzo, in quello che poi ricorderà come il  periodo più felice della sua vita; ed infine ad Imogen, nonostante l’abbia vista pochissimo, quale ultima speranza di portare serenità amore a tutte queste donne – e probabilmente a se stessa, ma procediamo con ordine. È, la storia di Rosamond, anch’essa a suo modo toccante ed interessante, una storia che racconta molto a proposito della nostra capacità di renderci felici, o infelici, e di usare gli eventi dolorosi che attraversiamo per costruirci un presente gratificante.

Rosamond incontra Rebecca durante gli anni dell’università, iniziando una storia d’amore ed una convivenza. Beatrix, che Rosamond considera come una sorella, si fa viva all’improvviso chiedendo di tenere Thea per ‘un breve periodo di tempo’, per permetterle di andare a ricorrere un uomo e convincerlo a tornare con lei e ad accettare Thea. Non possiamo che notare che, nel perseguire questo obiettivo, Thea sembra un ostacolo, ed una sorta di danno collaterale da far mandar giù all’amante. Rosamond accetta nonostante la contrarietà di Rebecca, ma in breve tempo la piccola Thea entra a far parte della loro piccola famiglia, portando ad entrambe un motivo di felicità, felicità tuttavia provvisoria, come fa notare Rebecca, perché in qualunque momento

Beatrix sarebbe potuta ricomparire a riprendersela; e così accade, con una conseguenza devastante per Rosamond e Rebecca: entrambe, in diverso modo, non riescono a fare i conti con la mancanza della bambina, arrivando a separarsi.

Da qui in avanti Rosamond inizia ad arrancare in solitudine; ci vorranno diversi anni prima che trovi una nuova compagna, che sarà anche la sua compagna per la vita, ed in tutti questi anni fa tutto il possibile anche per restare vicina a Beatrix, Thea, ed infine ad Imogen, che lei vede solo da bambina, e con cui perde ogni contatto qualche anno dopo l’affidamento alla nuova famiglia, nonostante la sua proposta di prendersene cura. Assiste, Rosamond, al replicarsi del dolore del non essere amata in ognuna di queste bambine, e poi ragazze, con suo grande sgomento, senza, al contempo, aver mai modo di porre rimedio. Beatrix, infatti, dopo aver manipolato la cugina per ottenere il suo aiuto tutte le volte in cui ne ha avuto bisogno, la allontana da Thea accusandolo di aver cercato di sedurla, accusa raccapricciante per Rosamond. Imogen le sarà allontanata dalla nuova famiglia, che riterrà, non a torto, che la famiglia d’origine non costituisse un supporto per la bambina, bensì una fonte di stress.

Rosamond, da un lato, osserva con vivo orrore i comportamenti aberranti di queste madri, orrore tanto più sentito quanto, come il lettore può comprendere, l’essere madre è un’esperienza che a lei è negata; dall’altro comprende con una forma sottile di empatia le radici di questo comportamento, avendo visto in prima persona da quanto dolore fosse scaturito. Nel romanzo Rosamond condanna apertamente i comportamenti, ma mai, o mai del tutto, le donne che li mettono in atto, se non quando afferma che Beatrix era diventata ‘una manipolatrice’.

Ed ecco che alla fine della sua vita, sola ed ammalata, prima di suicidarsi, registra tutto ciò su nastri destinati ad Imogen, per restituirle la sua storia. Imogen non li sentirà mai, e personalmente lo ritengo motivo di sollievo. Perché potremmo ben chiederci se questi nastri siano davvero un atto dovuto ad Imogen, o piuttosto un ultimo, disperato tentativo di Rosamond di avere un posto nella vita affettiva di questa ragazza, di colmare un suo personale bisogno di donare, che non riesce davvero a tenere in considerazione quanto bene, o male, potrebbe aver fatto questo dono ad Imogen, se mai l’avesse ricevuto.

Da un certo punto di vista, il racconto degli eventi ne determina l’effettivo solco che lasciano nel nostro vissuto; ed è domanda lecita se tutto ciò avrebbe potuto essere di sollievo ad Imogen nel vivere con il suo trauma, o se invece, qualora il trauma fosse già stata superato grazie alle cure della nuova famiglia, avrebbe solamente riaperto una ferita potenzialmente già curata.

Una prima riflessione va fatta sulle conseguenza del terribile ripetersi di un modello genitoriale profondamente disfunzionale. Parlando di Beatrix, sopra, ho ipotizzato che lei usasse la figlia per rovesciare su di lei l’odio che sente per la bambina che è stata, o, esprimendoci con il modello degli Stati dell’Io, per gli Stati dell’Io Bambina che lei porta dentro di sé , nei quali rivive il disprezzo di sé lasciatole dalla madre. Questo avviene perché per i bambini i genitori hanno sempre ragione; è un meccanismo di difesa, considerando che il legame con i genitori ci tiene in vita, e dunque preservarne l’immagine è fondamentale perché un* bambin* possa sentirsi protett*. Ecco, dunque, che se mia madre o mio padre mi ignora, io, bambin*, ne trarro’ la conclusione che ha buoni motivi per farlo: sono io ad essere sbagliat*, o stupid*, o poco importante, e via dicendo; dunque, con delle parti di me che si sentono tali, e provano di conseguenza emozioni profondamente dolorose.  Se poi ad ignorarmi sono entrambi i genitori, tutto ciò accadrà a maggior ragione; val la pena di osservare che questo è un romanzo tutto al femminile, in cui i padri sono totalmente assenti’.

Il diventare madre offre una grande opportunità di elaborare tutto ciò, nelle migliori condizioni, ma nessuna delle donne di questa storia diventa madre in un contesto stabile, pieno di affetto, diventano invece madri durante delle fughe in cui si aggrappano a uomini, per l’appunto, poco affidabili, che prevedibilmente spariranno dalla scena, o verranno lasciati, ritrovandosi a dover amare una bambina, quando ancora non sono in grado di amare se stesse. Ed ecco come sia fin troppo facile che il disprezzo verso di sé, il dis-amore, venga proiettato su quella neonata che complica la ricerca di una felicità che va trovata da qualche parte, nel posto giusto, comunque fuori da sé stesse e dai propri pesanti vissuti.

Possiamo fare un’altra riflessione relativa ai modelli genitoriali, che probabilmente giocano anch’essi un ruolo. Il modo in cui siamo stat* accudit* e cresciut*, infatti, entrano a far fare dei nostri Stati dell’Io Genitoriali; proprio come facciamo nostri alcuni atteggiamenti in vari ambiti della vita (tipicamente, nel lavoro, nell’igiene, ecc, possiamo trovare aree comportamentali nelle quali ci rendiamo conto di ‘fare come mia mamma/mio papà/mia nonna/ecc). Se da bambin* sono stat* picchiat*, quando mi arrabbio con mi* figli* potrei ben sentire l’impulso ad alzare la mano. In un momento di forte stress, potrei non essere in grado di contrastarlo e dare una pacca sul sedere all* bambin*. Ho, insomma, interiorizzato e fatto mio un modello di pensiero-emozione-comportamento, che posso sì scegliere di non seguire, e con un certo impegno anche sostituire con un modello che ritengo migliore, ma questo, è facile capirlo, richiede riflessione, energie, fatica, ed una situazione di serenità che mi consente di ‘lavorarci sopra’. Né Beatrix, né Thea, hanno avuto modo di fare questo. Sembra non essersi mai aperto, in loro, uno spazio di riflessione; o meglio, qualcosa di simile accadrà a Thea dopo la sua incarcerazione, Imogen a quel punto, purtroppo, sarà già morta nell’incidente, ed a questo punto il lettore si deve accomiatare da entrambe. Imogen, chissà, forse avrebbe potuto interrompere questa terribile catena di dolore. Immagino che avrebbe voluto farlo Rosamond, che tuttavia, concentrata sulla sofferenza di queste donne, non si prende la responsabilità di occuparsi della propria sofferenza, e perde a sua volta l’occasione di superare il dolore arrecatole dalla separazione da Thea e Rebecca.

Ad onor del vero, nonostante i vissuti così oscuri ed opprimenti descritti, il romanzo è piacevole e scorrevole, e ne consiglio la lettura; mi sembra uno di quei libri che possono accendere diverse riflessioni in ogni lettore, e non è cosa da poco.

‘La pioggia prima che cada’, di J.Coe, edito in Italia da Feltrinelli.


Dott.ssa Valentina Cozzutto
Psicologa Psicoterapeuta a Monza (MB)


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