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Alcune persone hanno la sensazione continua di non essere capac*: di svolgere un lavoro, di fare amicizia, di gestire una conversazione, di baciare, di giocare a calcio. Qualunque cosa non funzioni, è per colpa loro: non sono capac*.
Una convinzione di questo tipo a lungo andare può portare ad un senso di profonda tristezza, a vissuti depressivi, pervasi da una sottile disperazione. È chiaro: se non sono capace di fare nulla, nulla cambierà per me, e sarò bloccat* in un perenne stato di privazione di speranza. Tutti noi abbiamo bisogno di sentirci promotori, almeno in parte, dei cambiamenti nella nostra vita, ed ugualmente abbiamo bisogno di speranze, grandi o piccole che siano: posso trovare un lavoro che mi piace di più; posso trovare un* nuov* compagn*; posso cercare una casa più confortevole; posso migliorare in uno sport ed ottenere il risultato che desidero; e via dicendo.
Alcune persone, tuttavia, ritengono di essere responsabili dei cambiamenti negativi, ma non di quelli positivi. Ad esempio: l* mi* fidanzat* mi ha lasciat* perché io non sono abbastanza interessante; se quell* ragazz* mi ha rivolto la parola, però, è perché si annoia e non c'è nessun altro che l* interessi davvero.
Ho litigato con il mio capo perché non so lavorare abbastanza bene, ma se mi hanno fatto un’ottima proposta di lavoro è perché c'è bisogno della mia figura professionale e sono incappati nel mio curriculum.
In buona sostanza, quando accade qualcosa di sgradevole è per 'colpa' mia, ma quando mi succede qualcosa di bello, ecco, è semplicemente successo: è stato un caso, o la fortuna.
Con delle convinzioni di questo tipo, sono in balia degli eventi: posso solo sperare che mi vada bene, e di non rovinare in alcun modo un eventuale evento fortuito positivo. Vivo secondo uno schema di riferimento per il quale gli altri riescono a fare ciò che vogliono, ad ottenere dei risultati, ed io no. È superfluo dire che avrò un’autostima molto bassa, e potrei essere tentat* di non inseguire alcun obiettivo, convint* che tanto non ci riuscirò.
Per mantenere questo sistema di convinzioni devo necessariamente filtrare e distorcere quanto mi accade, nel modo in cui abbiamo visto sopra. Non riconosco ciò che faccio, e mi concentro su ciò che non riesco ad ottenere, paragonando ad altre persone. Il passo successivo è un’affermazione su di me: non ho determinate qualità necessarie a raggiungere certi obiettivi.
Sembra un ottimo sistema di auto-boicottaggio (e lo è); potremmo chiederci per quale motivo una persona sviluppi un tale sistema di pensiero. Può nasce con un fine protettivo: ad esempio, proteggermi dalle delusioni. Certe convinzioni possono inconsapevolmente essere insegnate dai genitori, probabilmente delusi a loro volta da obiettivi che non hanno potuto raggiungere, così da convincersi che insegnare ai propri figli ad ‘accontentarsi’, a non volere molto, sia la cosa migliore. Dobbiamo però tenere a mente che l* bambin* per natura desidera ed è portato ad impegnarsi per raggiungere l’obiettivo, di conseguenza un messaggio quale ‘accontentati, vola basso’ è controintuitivo ed incomprensibile per lui. Poiché il genitore ha sempre ragione, quest* bambin* cercherà una spiegazione sensata, che può trovare nell’idea di non esserne capace: se mamma/papà /nonn* mi dice di lasciar stare, è perché non ce la posso fare.
Questo sistema di riferimento, secondo il quale gli altri valgono e possono, ma io no, può anche essere il risultato dell’esser cresciuti con un genitore molto svalutante, che rimanda continuamente al bambino messaggi di disconferma (ad esempio, criticando tutto ciò che fa, più o meno apertamente).
Qualunque sia il motivo, è necessario rivedere le convinzioni su di sé. In Analisi Transazionale, lo si può fare lavorando con la parte Genitoriale della persona, la parte cioè da cui ci ‘diciamo’ cosa e come fare, ed anche cosa non fare. L’insieme di Stati dell’Io che raccogliamo nel Genitore, infatti, ci dice costantemente cose come ‘lascia stare, tanto non ci riesci’, oppure ‘accontentati, se non ce la fai ci resti male’, o proprio ‘Non ne sei capace!’, ‘Non vali quanto gli altri’. Sarà necessario rimodulare questa parte, sottolineando invece i messaggi genitoriali positivi, o conducendo la persona ad individuarne di nuovi, così da creare una parte Genitoriale incoraggiante e fiduciosa, che dia spazio agli Stati dell’Io Bambino, in modo che possano sentirsi nuovamente in grado di esplorare, desiderare, e gioire dei risultati, grandi e soprattutto piccoli.
Alcune persone, tuttavia, ritengono di essere responsabili dei cambiamenti negativi, ma non di quelli positivi. Ad esempio:
In buona sostanza, quando accade qualcosa di sgradevole è per 'colpa' mia, ma quando mi succede qualcosa di bello, ecco, è semplicemente successo: è stato un caso, o la fortuna.
Con delle convinzioni di questo tipo, sono in balia degli eventi: posso solo sperare che mi vada bene, e di non rovinare in alcun modo un eventuale evento fortuito positivo. Vivo secondo uno schema di riferimento per il quale gli altri riescono a fare ciò che vogliono, ad ottenere dei risultati, ed io no. È superfluo dire che avrò un’autostima molto bassa, e potrei essere tentat* di non inseguire alcun obiettivo, convint* che tanto non ci riuscirò.
Per mantenere questo sistema di convinzioni devo necessariamente filtrare e distorcere quanto mi accade, nel modo in cui abbiamo visto sopra. Non riconosco ciò che faccio, e mi concentro su ciò che non riesco ad ottenere, paragonando ad altre persone. Il passo successivo è un’affermazione su di me: non ho determinate qualità necessarie a raggiungere certi obiettivi.
Sembra un ottimo sistema di auto-boicottaggio (e lo è); potremmo chiederci per quale motivo una persona sviluppi un tale sistema di pensiero. Può nasce con un fine protettivo: ad esempio, proteggermi dalle delusioni. Certe convinzioni possono inconsapevolmente essere insegnate dai genitori, probabilmente delusi a loro volta da obiettivi che non hanno potuto raggiungere, così da convincersi che insegnare ai propri figli ad ‘accontentarsi’, a non volere molto, sia la cosa migliore. Dobbiamo però tenere a mente che l* bambin* per natura desidera ed è portato ad impegnarsi per raggiungere l’obiettivo, di conseguenza un messaggio quale ‘accontentati, vola basso’ è controintuitivo ed incomprensibile per lui. Poiché il genitore ha sempre ragione, quest* bambin* cercherà una spiegazione sensata, che può trovare nell’idea di non esserne capace: se mamma/papà /nonn* mi dice di lasciar stare, è perché non ce la posso fare.
Questo sistema di riferimento, secondo il quale gli altri valgono e possono, ma io no, può anche essere il risultato dell’esser cresciuti con un genitore molto svalutante, che rimanda continuamente al bambino messaggi di disconferma (ad esempio, criticando tutto ciò che fa, più o meno apertamente).
Qualunque sia il motivo, è necessario rivedere le convinzioni su di sé. In Analisi Transazionale, lo si può fare lavorando con la parte Genitoriale della persona, la parte cioè da cui ci ‘diciamo’ cosa e come fare, ed anche cosa non fare. L’insieme di Stati dell’Io che raccogliamo nel Genitore, infatti, ci dice costantemente cose come ‘lascia stare, tanto non ci riesci’, oppure ‘accontentati, se non ce la fai ci resti male’, o proprio ‘Non ne sei capace!’, ‘Non vali quanto gli altri’. Sarà necessario rimodulare questa parte, sottolineando invece i messaggi genitoriali positivi, o conducendo la persona ad individuarne di nuovi, così da creare una parte Genitoriale incoraggiante e fiduciosa, che dia spazio agli Stati dell’Io Bambino, in modo che possano sentirsi nuovamente in grado di esplorare, desiderare, e gioire dei risultati, grandi e soprattutto piccoli.
Dott.ssa Valentina Cozzutto
Psicologa Psicoterapeuta a Monza (MB)